
Chirurgia robotica in urologia
- On 23 Aprile 2004
Intervista per comunicarecome.it di Marina Palmieri
Si chiama “Da Vinci” il robot impiegato con successo in un delicato intervento urologico eseguito in laparoscopia per l’asportazione radicale di un tumore alla prostata: l’intervento, eseguito con tecniche di microchirurgia di assoluta avanguardia e in visione di tridimensionalità, è stato eseguito dal professor Franco Gaboardi, Direttore dell’Unità Operativa di Urologia all’Ospedale Luigi Sacco di Milano.
Grande precisione e minima invasività, minor dolore e un recupero più rapido da parte del paziente sono solo alcuni dei risultati che la nuova tecnica con robot consente di ottenere, cui si aggiungerebbe la riduzione delle complicanze di incontinenza e di perdita della funzione erettile. Questi e molti altri i vantaggi della nuova tecnica d’intervento illustrati dal prof. Franco Gaboardi nell’intervista che segue, che è stata gentilmente rilasciata per i lettori di Bollettino Cardiologico e nella quale vengono indagati orizzonti operativi fino a ieri inediti e sempre più, oggigiorno, praticabili nella realtà.Professor Gaboardi, in cosa consiste essenzialmente l’intervento di chirurgia con il robot “Da Vinci”, come quello da Lei praticato lo scorso marzo su un paziente affetto da tumore alla prostata? Quali vantaggi comporta la nuova tecnica rispetto alle tecniche più convenzionali?
La tecnica con il robot, che di recente abbiamo utilizzato in un intervento di prostatectomia radicale laparoscopica, non è altro, al momento attuale, che una forma più avanzata e più evoluta della laparoscopia. Come Unità Operativa di Urologia, qui all’Ospedale Sacco di Milano, siamo operativi già da anni con un nostro Centro di laparoscopia urologica. Quindi in questo Centro vengono eseguiti in laparoscopia tutti i più importanti interventi in ambito oncologico e ricostruttivo: mi riferisco per esempio a tumorectomie del rene con preservazione del rene stesso, all’asportazione del tumore della prostata, all’asportazione del carcinoma della vescica con relativa ricostruzione della vescica, e a molti altri tipi di interventi ricostruttivo. Tutti questi tipi di intervento, che normalmente si eseguono a cielo aperto, noi li eseguiamo in laparoscopia.
Complessivamente, eseguiamo in media 200-250 interventi all’anno in laparoscopia; probabilmente quest’anno anche di più, perché man mano che si diffonde la ‘voce’ che eseguiamo questi interventi di laparoscopia con la tecnica robotica riceviamo richieste sempre più cospicue.
Normalmente quello laparoscopico è un intervento mininvasivo perché, anziché il taglio, vengono eseguite delle piccolissime incisioni (da 4 a 5 a seconda dell’intervento) che consentono l’accesso all’interno della cavità addominale. Attraverso l’incisione da un centimetro viene introdotta la telecamera che permette di vedere, mentre attraverso le altre incisioni o porte di accesso, che sono invece di circa mezzo centimetro, l’operatore e l’aiuto operano all’interno dell’addome del paziente.
Il vantaggio preminente della laparoscopia non è già di tipo estetico, anche se, talvolta, il vantaggio estetico di non ritrovarsi un taglio, ma, invece, solo delle piccolissime incisioni può essere proprio ciò che spinge il paziente ad effettuare questo tipo di scelta. Il vantaggio principale della laparoscopia risiede invece nel fatto che la mininvasività dell’intervento stesso (in particolare la non infrazione della parete addominale, ma anche la maggior precisione nell’esecuzione dell’intervento) determina un minor sanguinamento di quello che si otterrebbe effettuando la stessa operazione a cielo aperto. Tutto ciò, per il paziente, comporta una serie di importanti benefici: un minor dolore, una più rapida ripresa delle funzioni naturali, come soprattutto la mobilizzazione ed un più rapido recupero della motilità intestinale, e, proprio grazie al mancato taglio e pertanto al minor sanguinamento, un recupero più rapido nel post-operatorio.A quale aspetto tecnico della laparoscopia, precisamente, è dovuta la maggiore precisione dell’intervento e, appunto, la conseguente riduzione di sanguinamento? E di quanto viene ridotto, in un intervento di laparoscopia, il sanguinamento del paziente rispetto a un intervento tradizionale a cielo aperto?
Il principale aspetto tecnico da sottolineare, per ciò che riguarda in generale la laparoscopia, è rappresentato dall’utilizzo della telecamera, che consente un ingrandimento significativo della zona da trattare e quindi una migliore visione della stessa. Tutto ciò consente all’operatore di eseguire l’intervento in modo molto preciso, per esempio consente di individuare vasi anche molto piccoli (che invece senza l’ingrandimento ottenuto con la telecamera non potrebbero essere visti) e di coagularli uno ad uno.
Ciò alla fine dell’intervento comporta un risparmio generale in termini di sanguinamento che può essere abbastanza consistente. Per fare un paragone: normalmente un intervento di prostectomia radicale a cielo aperto comporta un sanguinamento che può essere di 700-800 cc o anche fino a 1 litro di sangue; in laparoscopia, invece, normalmente l’intervento comporta un sanguinamento medio di 250-300 cc.Considerati quelli che sono i vantaggi della laparoscopia, perché allora l’introduzione di un robot in sala operatoria per l’asportazione di un tumore alla prostata?
Ai vantaggi della laparoscopia che qui ho illustrato corrispondono, per ogni singolo intervento in ambito urologico, delle problematiche. Per esempio, nel caso del tumore della prostata abbiamo riscontrato che l’asportazione del tumore comporta, quale che sia la tecnica da adottare, due tipi di problemi, ovvero: un’incontinenza transitoria, che può variare da pochi giorni a qualche mese, e in secondo luogo problemi di erezione. Infatti anche qualora sia possibile salvare i nervi dell’erezione senza compromettere il risultato oncologico, la perdita della capacità di erezione in una grande percentuale dei pazienti è consistente.
Secondo le varie casistiche riferite alla chirurgia tradizionale, la perdita dell’erezione conseguente all’intervento di asportazione del tumore del prostata colpisce dal 30% al 70% dei pazienti trattati. In alcuni casi la perdita dell’erezione è dovuta al fatto che durante l’intervento di prostatectomia i nervi dell’erezione (nervi che corrono a fianco della prostata) vengono tagliati, in altri casi lo stesso effetto si verifica qualora la cicatrice coinvolge i nervi dell’erezione, ma, come già ricordato, la perdita della funzionalità erettile è sinora stata ampiamente riscontrata anche a seguito di interventi che salvaguardano i nervi dell’erezione.
Pertanto si è posta l’esigenza di sviluppare le varie tecniche di asportazione di tumore della prostata, proprio nell’ottica di migliorare la continenza (ovvero di far sì che si ottenga una continenza più precoce) e di preservare maggiormente l’erezione, soprattutto oggi che è possibile eseguire una diagnosi precoce in pazienti giovani.
Ora, il motivo per cui abbiamo introdotto il robot e abbiamo cominciato ad impiegarlo nel nostro Centro di Urologia è che dai risultati rilevati in letteratura, soprattutto nordamericana (è infatti negli Stati Uniti che questa tecnica è maggiormente utilizzata, essendo già stata impiegata su circa 3.500 pazienti), emergerebbe un risultato superiore all’80% di salvaguardia della potenza sessuale, quindi un risultato che in questo momento si pone al vertice dei risultati della letteratura. La nostra speranza è che lo studio che a breve avvieremo (uno studio controllato, finanziato dalla Regione Lombardia) possa riuscire a confermare che l’impiego di questo robot ci consente di raggiungere risultati altrettanto importanti nella salvaguardia della potenza sessuale del paziente affetto da tumore della prostata e nel quale, se possibile, eseguire un intervento di tipo conservativo dell’erezione.
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